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mercoledì 18 gennaio 2012

Liberalizzare vuol dire redistribuire il reddito

Su un mercato, per legge, ci sono 5 commercianti che vendono i loro prodotti a 1000 persone

E’ molto probabile che, consentendo l’ingresso di nuovi imprenditori, senza alcun limite, il guadagno pro capite dei 5 possa diminuire.  Dovrebbero ingegnarsi per restare competitivi mentre prima gli bastava tirar su la saracinesca per essere certi del profitto. Probabilmente il loro reddito calerà. 

Vista da un’altra ottica, però, quella non è una perdita ma redistribuzione di una ricchezza accumulata grazie ad una posizione di privilegio che può far stare meglio molte altre persone. Non creando povertà e misera ma maggiore equità.

I 5, probabilmente, diranno che non è così, che farebbero la fame, che lo Stato è un cattivone e che sono pronti a mettere tutto a ferro e fuoco.


Moltiplicate quei cinque per una moltitudine e avrete l’Italia.

Un esempio: sarebbe cattiva una legge che dicesse che lelicenze per i taxi possono essere accordate, in qualsiasi momento e senza limitazioni numeriche e territoriali, a tutti coloro che posseggono i requisiti atti a garantire la sicurezza dei trasportati.

Sarebbe cattiva una legge che consentisse a ciascun farmacista, per il sol fatto d’essere tale, di vendere farmaci?

Sarebbe cattiva una legge che sottoponesse i professionisti al solo giudizio del mercato.

Perché non fare in modo che sia il mercato a stabilire quanti tassistifarmacistiavvocatinotaiarchitettingegneri ecc. devono esserci in Italia?

Certo, ci vorrebbe rigore per evitare che si possano creare situazioni d’abuso della libertà e quindi di vessazione. Ci vorrebbe in poche parole una vera Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Si chiede molto quando s’invoca il massimo beneficio per il consumatore attraverso una redistribuzione del reddito che vada dai privilegiati verso più operatori liberi? 

Non con azioni espropriative collettivizzanti ma attraverso nuove opportunità per tutti. Più investimenti sull’individuo per un maggiore benessere comune. 

E’ davvero impossibile?


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