Su un mercato, per legge, ci sono 5 commercianti che vendono
i loro prodotti a 1000 persone.
E’ molto probabile che, consentendo l’ingresso
di nuovi imprenditori, senza alcun limite, il guadagno pro capite dei 5 possa diminuire. Dovrebbero ingegnarsi per restare competitivi mentre prima gli bastava tirar su
la saracinesca per essere certi del profitto. Probabilmente il loro reddito
calerà.
Vista da un’altra ottica, però, quella non è una perdita ma redistribuzione
di una ricchezza accumulata grazie ad una posizione di privilegio che può far
stare meglio molte altre persone. Non creando povertà e misera ma maggiore
equità.
I 5, probabilmente, diranno che non è così, che farebbero la
fame, che lo Stato è un cattivone e che sono pronti a mettere tutto a ferro e
fuoco.
Moltiplicate quei cinque per una moltitudine e avrete
l’Italia.
Un esempio: sarebbe cattiva una legge che dicesse che lelicenze per i taxi possono essere accordate, in qualsiasi momento e senza limitazioni numeriche
e territoriali, a tutti coloro che posseggono i requisiti atti a garantire la
sicurezza dei trasportati.
Sarebbe cattiva una legge che consentisse a ciascun
farmacista, per il sol fatto d’essere tale, di vendere farmaci?
Sarebbe cattiva una legge che sottoponesse i professionisti
al solo giudizio del mercato.
Perché non fare in modo che sia il mercato a stabilire
quanti tassistifarmacistiavvocatinotaiarchitettingegneri ecc. devono esserci in
Italia?
Certo, ci vorrebbe rigore per evitare che si possano creare
situazioni d’abuso della libertà e quindi di vessazione. Ci vorrebbe in poche
parole una vera Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Si chiede molto quando s’invoca il massimo beneficio per il
consumatore attraverso una redistribuzione del reddito che vada dai privilegiati
verso più operatori liberi?
Non con azioni espropriative collettivizzanti ma
attraverso nuove opportunità per tutti. Più investimenti sull’individuo per un
maggiore benessere comune.
E’ davvero impossibile?
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