Il Tribunale del Riesame di Napoli ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip nei confronti di Gaetano Riina, fratello di Totò, boss di Corleone.
Il motivo, secondo quanto ha riportato il Giornale di Sicilia, ripreso poi da molte testate nazionali, è semplice.
Il giudice per le indagini preliminari avrebbe fatto un semplice copia e incolla della richiesta formulata dal pubblico ministero, a tal punto che in alcuni passi dell’atto si sarebbe perfino dimenticato di sostituire la dicitura “questo pm” con “questo gip”.
Si può arrestare una persona fidandosi ciecamente, per usare un eufemismo, degli atti del pm senza un loro scrupoloso esame?
Se il magistrato avesse commesso davvero una simile leggerezza sarebbe giusto essere sanzionarlo e consentire al cittadino di ottenere un risarcimento del danno.
Quante volte un giudice scarcera una persona copiando le memorie difensive? Che sarebbe successo se per quella persona, piuttosto che la custodia cautelare in carcere, fosse stato sufficiente il divieto di espatrio?
Sono interrogativi che bisogna porsi, lontani da strumentalizzazioni d'ogni sorta, per comprendere il senso reale di certe richieste in merito alla riforma della giustizia ed alla responsabilità dei magistrati.
A meno che non si voglia pensare che di fronte a personaggi di una certa “fama” le procedure e i codici siano orpelli inutili. Sarebbe ingiustificabile ed insensato visto che non si perde occasione per dire che la legge deve essere uguale per tutti. A meno che non si faccia del garantismo da salotto.
Il cittadino utente del sistema giudiziario ha il diritto di pretendere che chi amministra la giustizia lo faccia seriamente e meticolosamente. Ctrl+c e Ctrl+v non possono garantirlo.
I giustizialisti, comunque, possono stare tranquilli: Gaetano Riina è in carcere per altri motivi.
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