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martedì 29 novembre 2011

Lucio Magri ha scelto per sé


La notizia è apparsa su tutti i principali quotidiani ed è stata ripresa dai tg. Lucio Magri, fondatore de “Il Manifesto”, ha deciso di togliersi la vita in una clinica Svizzera. Nel paese rosso scudato, infatti, l’assistenza al suicidio è legale.

E’ immaginabile la valanga di commenti e reazioni che sono seguiti a questo fatto.

Al solito i così detti pro life si sono scagliati contro quello che non esitano a definire un delitto. Se stiamo alla legislazione italiana, in effetti, quello che è accaduto in Svizzera sarebbe un reato. Omicidio del consenziente per l’esattezza.

Mario Adinolfi, su twitter, ha detto: “rispetto la scelta di Magri, uomo di grande livello, ma disprezzo la Svizzera che consente ai medici di operare per la morte e non per la vita”. Non sono d'accordo con Adinolfi. Non entro nel merito del caso specifico di Magri, almeno non subito, ma prendo spunto per alcune riflessioni più generali.


Quei medici non operano per la morte ma per il rispetto della volontà del singolo. Possibile che ognuno di noi, oggi, nel pieno delle proprie facoltà mentali possa decidere di aprire una finestra e buttarsi dal quinto piano, lasciarsi morire di fame e di sete e, sempre nel pieno delle proprie facoltà, mentali non possa rivolgersi ad un medico che lo aiuti a fare ciò?

Perché dobbiamo credere che la scelta di porre fine alla propria esistenza sia un gesto folle e non di lucida autodeterminazione?

Sino a quando dovremo abdicare di fronte all’idea che non siamo pieni titolari del diritto primo di proprietà, ossia quello su noi stessi e di conseguenza della possibilità di decidere di noi stessi?

Perché si ritiene giusto che una fede religiosa possa decidere come si debba morire? 

Spetta a chi parla di sacralità della vita e quindi della sua inviolabilità dimostrare ciò negli stessi termini in cui è dimostrabile che l’acqua bolle alla temperatura di 100°.

Un credente ha diritto di morire quando la natura e il susseguirsi dei fatti faranno si che sia giunto quel momento. Perché quel suo diritto deve diventare un obbligo per tutti gli altri? Non sarebbe più giusto se ognuno di noi – senza incorrere nel biasimo altrui e senza che chi lo aiuta divenga un delinquente – potesse decidere quando non vuole più vivere perché ritiene che quella vita non ha più senso? Il senso ultimo, cui tanti danno un significato metafisico, può essere il limite invalicabile alle scelte su sé stessi? Anche per coloro che non credono in quel fine ultimo?

Che cosa faremmo se, all'improvviso ci obbligassero ad andare in Chiesa tutte le domeniche? 

Che cosa penseremmo se, per legge, ci venisse imposto di partecipare al venerdì di preghiera?

Probabilmente saremmo costretti a ribellarci a delle imposizioni odiose per far valere il diritto di credere e pensare diversamente da quanto ci viene imposto.

Che cosa faremo, e probabilmente saremo costretti a farlo, quando di fronte all’espressione chiara e precisa della nostra volontà un medico potrà burlarsene? 

Non è meglio che un medico sia messo nella condizione di assecondare la volontà di una persona sana di mente che abbia deciso di fermarsi?

Davvero preferiamo che un dottore possa divenire il carnefice aureolato e quindi artefice della nostra fine?
Lucio Magri è stato costretto ad emigrare per far valere la sua volontà. 

Lì, in Svizzera, non ha trovato carnefici o boia ma persone rispettose del suo diritto di essere Lucio Magri artefice della propria vita e della sua fine.  

Non conoscevo quest’uomo; gli invio un saluto rispettoso e ammirato, perché lui, liberamente, ha scelto per se stesso.

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