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venerdì 9 dicembre 2011

Non vuole un nipote albanese. L’aborto nazionalista


L’interruzione volontaria di gravidanza è un diritto delle donne. Alle volte o almeno una volta sembra che sia dovere dei genitori imporlo.

Così accade che, lo si legge sul sito dell’Aduc che riprende la notizia dal quotidiano Repubblica, in Provincia di Trento una ragazzina di 16 anni resta incinta e vuole tenere il bambino. Solo che i genitori non vogliono e chiedono al Tribunale dei minori che sia costretta ad abortire. Tra i motivi, per quanto si legge, la nazionalità del padre. Un diciottenne albanese con una serie di piccoli precedenti penali. Accade così che il padre della ragazza chieda al giudice di ordinare alla figlia di abortire o comunque che il nascituro non porti il nome del padre. Non vuole che il giovane albanese squattrinato e squinternato riconosca quel bambino. 


Insomma un aborto per motivi di nazionalità e di censo

Il diritto personalissimo all’interruzione volontaria della gravidanza spacciato per necessità di evitare la contaminazione razziale della famiglia. Fosse stato un giovane rampollo svizzero o un ricco figlio di sceicchi forse le cose sarebbero andate diversamente? Il padre avrebbe chiesto il mantenimento? Sarebbe utile capire che cosa avrebbe fatto questo stesso genitore se la figlia non fosse stata incinta e lui avesse, invece, desiderato avere un nipote. Avrebbe chiesto l’inseminazione artificiale obbligatoria pretendendo il seme di un premio Nobel? 

Meglio non entrare nel merito del tema aborto perché questo rappresenta un caso su cui gli antiabortisti di professione marceranno alla grande. 

Per onestà, però, non può non dirsi che l’aborto per motivi razziali è un qualcosa di inaccettabile. 

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